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Viaggiatori

Aggiornamento: 2 ott

Quando la vidi sentii un tuffo al cuore. Non sapevo perché mi trovavo lì, in quel posto e in quell'epoca, ma quel collo meraviglioso mi ricordava qualcosa, qualcuna ma non sapevo chi. Sapevo solo che quell'emozione l'avevo già vissuta. E non era stato un sogno. Forse era questo un sogno? E lei chi era?Trattenni l'impulso improvviso di abbracciarla. D'un tratto si voltò, i suoi begli occhi, attraverso gli occhiali neri, mi fissarono per un momento e il mio cuore parve fermarsi, ma poi il suo sguardo andò oltre. Mi sentivo sconvolto dall'emozione.Mi avvicinai e cominciai a parlare. Incredibile: parlavo lo spagnolo correntemente, seppure con un lieve ma inconfondibile accento italiano. «Mi scusi, ha da accendere?» «Certo!» Le chiesi: «Lei è di Buenos Aires?» «Purtroppo no.» Cercavo un argomento di dialogo. Mi appigliai a quel «purtroppo». «Perché purtroppo?» Mentre rispondeva riconobbi un delizioso accento russo. «Perché sono qui solo per un servizio giornalistico, ma adoro gli argentini.» Era una donna determinata ma delicata, sembrava fragile ma anche una leonessa. Ne ero assolutamente rapito. Sfilò gli occhiali per pulirli mentre parlava e fu a quel punto che mi resi conto di quanto fossero belli i suoi occhi grandi e biondi. Notai un particolare, si sfiorava le ciglia con le dita mentre parlava. Trovai quel gesto irresistibile.Dovevo trovare un modo di continuare a parlarle. Mentre ero assorto nella ricerca di ulteriori argomenti per proseguire la conversazione mi si avvicinò un agente in divisa: «Documentos, por favor.» Disorientato, e per la verità più preoccupato di non perdere il contatto con quella meravigliosa creatura, mi frugai nelle tasche nella speranza di poter trovare dei documenti, ma nulla. «No los tengo conmigo» risposi. «¿Cuál es su nombre?» «No sé.» Non ricordavo più il mio nome. Sapevo solo di arrivare dal 2020 e di essere piombato, non so come, nel 1938.L'agente fece un cenno ad un suo collega alla guida di un'auto nera che non avevo notato prima. Insieme a lui mi caricarono sull'auto, ma prima feci appena in tempo a chiederle: «Come ti chiami?» «Lo saprai se ci rivedremo… e tu?» «Non lo so…» Mi portarono al commissariato.Lungo la strada osservavo auto che avevo potuto vedere solo in vecchie foto del passato. Incredibile, era tutto così vero. Eppure avevo così chiari nella mente i computer, Internet, il Covid, il riscaldamento globale, non potevo sbagliarmi.Al Comisaría de Policía mi interrogarono senza troppi complimenti e mi sbatterono in una cella sporca e polverosa. In quella drammatica situazione mi ritrovai a pensare a lei e mi addormentai ormai esausto. Il mattino dopo al risveglio vidi un vassoio con la colazione. C'erano persino una torta e un succo d'arancia. Una guardia mi disse di seguirlo perché mi avrebbero fatto uscire.Ritirai i miei vestiti e mi portai verso l'uscita. E proprio lì fuori la vidi. Era lei: «Ciao, non mi avevi detto come ti chiami e quindi…» «Ma che ci fai qui?» «La mia intervista era proprio con il capo della Polizia e quindi gli ho chiesto un favore. Adesso però vorrei sapere come ti chiami» disse sfiorandosi il collo. «Credimi, io non lo so, non lo ricordo. So solo che… non so come dirtelo.» «Come dirmi cosa?» Mi avrebbe preso per pazzo ma sentivo di potermi fidare solo di lei. «Vengo dal futuro, precisamente dal 2020.» E lei inaspettatamente mi disse: «Allora tornaci nel tuo futuro, vedrai che prima o poi ti raggiungerò e resteremo insieme per sempre, perché siamo fiamme gemelle che si rincorrono nel tempo. E quando accadrà, scrivi, racconta la nostra storia, la nostra incredibile storia d’amore attraverso il tempo, attraverso più vite. Noi siamo viaggiatori… siamo viaggiatori…» La radiosveglia suonava le note di Voyager, un vecchio brano di Mike Oldfield, mentre un raggio di sole dispettoso attraversava la finestra accecando i miei occhi appena aperti. Era un sogno, un incredibile sogno e solo in quel momento realizzai il suo significato e lo associai a quanto mi stava accadendo con te, quasi una sconosciuta, che stropicciavi i tuoi grandi occhi biondi nel mio letto. Mentre ti svegliavi notai il gesto del sogno, ti accarezzavi le ciglia con le dita. Non potei fare a meno di baciare teneramente quelle lunghe ciglia e stringerti forte per scivolare in un bacio che appariva senza fine, un bacio che vedeva entrambi protagonisti di una promessa di complicità e di passione.Mi ero innamorato di te nonostante i litigi, la diffidenza, le paure, le bugie. C’era ormai solo il bello di noi, dentro di me sapevo che avremmo sempre superato ogni difficoltà.E ancora oggi voliamo come due aquiloni che si inseguono senza una fine, catturati dallo stesso vortice.


✍️ Un racconto dal libro Mano nella mano di Roberto Salvo


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