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Darfur

Aggiornamento: 29 set

Nel cuore arso del Darfur

dove il grano non cresce più,

marciano lenti senza un domani

i figli del vento e della tribù.


Non hanno scarpe, non hanno età,

solo la fame che li divora,

e occhi più vecchi del cielo vuoto

che sopra il campo non si colora.


Dove sei tu, che puoi raccontare?

Dove sei tu, che puoi ancora amare?

Se resti zitto, se volti il viso,

tu stesso togli il pane e il sorriso.


Li ha spinti via la guerra degli uomini,

le armi, il sangue, il prezzo del potere,

ora si nutrono di sassi e sabbia,

di paura, febbre e silenzio amaro.


Dormono stretti tra muri sbrecciati,

mentre la notte li prende in braccio,

e sogna in loro chi li ha perduti,

e chi li vende per un po’ di ghiaccio.


Dove sei tu, che puoi raccontare?

Dove sei tu, che puoi ancora amare?

Se resti zitto, se volti il viso,

tu stesso togli il pane e il sorriso.


Nei pozzi secchi marcisce il tempo,

le madri spingono a vuoto il petto,

nei corpi stanchi la vita retrocede

e in un sussurro si spegne il diritto.


Un grido corto, una mano tesa

che cade prima d’essere vista,

e il sole assiste, cieco e alto,

al lento abisso che li conquista.


Dove sei tu, che puoi raccontare?

Dove sei tu, che puoi ancora amare?

Se resti zitto, se volti il viso,

tu stesso togli il pane e il sorriso.


Bambini presi, strappati al gioco,

dati alle armi, al sacco, al pianto,

chi ha visto troppo non fa più domande

e chi li guida non sente rimpianto.


Hanno nomi che nessuno scrive,

e voci secche che nessuno chiama,

vivono il giorno con troppa paura,

e la notte con troppa fame.


Dove sei tu, che puoi raccontare?

Dove sei tu, che puoi ancora amare?

Hai dato voce a chi non sapeva gridare,

ora un bambino ha ripreso a sognare.


Una canzone di Roberto Salvo



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